marzo ’99
La primavera
(lettera in versi)
…se poi il lasciarsi
prende l’aspetto di un’usura
che il carattere fa, porta, accompagna, può far presagire,
e sconsiglia un volersi bene comunque e dovunque
e parla ai destini
e alle mani
che si sono strette e riscaldate
nei rispettivi palmi
sui rispettivi petti
tra i rispettivi sessi
e la salvaguardia di un ricordo che non va abraso
di tu che vai e che vieni
nei corridoi semivuoti dei treni,
allora questo lasciarsi soffia
a sollevare la cenere
a suscitare le braci
a riproporre i ricordi.
Il vento ritorna spesso in primavera
e infilza l’odore sulle aghifoglie
e il tuo lo riconosco e lo vedo appeso
e in confusione di sensi
appaio e scompaio
giocando con le tende delle finestre
(che controllo)
e con le variazioni del cuore (che non controllo).
Ma cos’è questo mare di terra che inscena tempeste
e propone situazioni?
Di né nave né dimora
di chi fa il palo e partecipa e non partecipa
di chi si lega alla zattera e: o vivere tutto o morire!
di chi non tollera la visione dell’impossibilità di agire e annega col ricordo
di chi si sparpaglia sul corpo ansie e turbamenti fugaci e fuggitivi
di chi, e sono io, avrebbe voluto portarti in un ballo silenzioso di sguardi che sappiamo bene.
Le dita grezze cercano e trovano un ritmo sulle guance
e malamente impazientemente
costruiscono l’attesa
che si figura in agili fiocchi misti a decisa pioggia
e schiodano rabbia con le unghie non affinate all’uso
non propagandate al mondo-mondo
e al mondo femminile.
Apro.
L’alternarsi del secco e dell’umido tra le foglie
mi porta tra le nostre lenzuola
e le nostre barene e
le nostre sussurrazioni appagate
e il denso sorseggiare di labbra
e il lieve addormentarsi tra le braccia:
nell’accarezzare ma non cogliere
i fiori
e nel sorprendermi a guardare ma non toccare
i fiori con farfalla,
predispongo l’aritmia ad un’accelerazione pericolosa
insperata e disperata
e pervengo a te da climi temperati e temprati a questo frequente gocciolio…